
Ripubblichiamo qui stralci dell’intervista a Sandro Gozi pubblicato su le Grand Continent assieme a Manon Aubry sulle prospettive e strategie adottate sulla Conferenza sul futuro dell’Europa.
Traduzione libera di Davide Negri
Leggi qui l’articolo originale su Le Grand Continent: LINK
La Conferenza sul futuro dell’Europa è stata ufficialmente lanciata: per la prima volta, coinvolge i cittadini nel lavoro degli eurodeputati. Come deputati europei, Manon Aubry e Sandro Gozi, come vi posizionate rispetto a questo esercizio?
Credo che questo esercizio sia un’opportunità senza precedenti: è la prima volta nella storia dell’Unione europea che cerchiamo di riformare l’Europa in modo diverso, di fare l’Europa in modo diverso, e di farlo con una legittimità che dovrebbe venire direttamente dalla partecipazione dei cittadini, oltre alla legittimità che accompagna l’azione di ognuno di noi come rappresentanti eletti, all’interno del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali.
Questa conferenza è innanzitutto un’opportunità per gli europei prima che per l’Europa. C’è quindi un enorme potenziale da sfruttare. Per farlo, però, devono essere soddisfatte tre condizioni. In primo luogo, ci deve essere un’informazione adeguata: dobbiamo far sapere che questa conferenza esiste, è un compito che riguarda i cittadini europei, ma anche i media e i servizi di informazione. Questi ultimi dovrebbero assumersi la responsabilità di informare i cittadini: per esempio, France Télévision dovrebbe impegnarsi a informare i francesi dell’esistenza di questa conferenza. Va anche detto che la piattaforma che ha portato alla democrazia digitale è multilingue.
Poi, bisogna creare una dinamica, un’armonia, nel senso di un lavoro collettivo e condiviso tra i cittadini che saranno selezionati nei diversi panel della conferenza da un lato, e i parlamentari nazionali ed europei dall’altro. Penso che anche questo aspetto sia completamente nuovo. Dobbiamo costruire, trovare un registro, un linguaggio, un atteggiamento da parte nostra – soprattutto un atteggiamento di ascolto – ma, allo stesso tempo, dobbiamo proporre traduzioni concrete delle idee o delle proposte dei cittadini. I primi dibattiti che abbiamo avuto a Strasburgo sono andati meglio in questo senso di quanto mi aspettassi. Il fatto di alternare i parlamentari e i primi rappresentanti dei cittadini ha costretto tutti ad essere un po’ più chiari, a farsi capire meglio. Ho l’impressione che molti deputati si sentivano come se stessero facendo un esame! I cittadini erano lì per la prima volta e stavano assumendo una sorta di controllo pubblico. Più facciamo conoscere l’esistenza di questo esercizio, più saremo soggetti a questo necessario controllo democratico, che è anche una garanzia di efficienza
Infine, dobbiamo impegnarci – e questo è il mio impegno come membro del Parlamento europeo – a utilizzare tutti i mezzi a nostra disposizione per dare un seguito concreto e operativo alle richieste prioritarie dei cittadini. Se dobbiamo prendere iniziative, se dobbiamo fare leggi, facciamolo! Se abbiamo bisogno di decisioni concrete, soluzioni concrete, azioni politiche, prendiamole! Se dobbiamo rivedere i trattati, rivediamoli! E vorrei che il Parlamento europeo, fin dall’inizio, si assumesse questo impegno e attivasse la procedura di revisione dei trattati che ci offre l’articolo 48 del TUE. Quando emergono delle proposte, non dobbiamo aspettare la Commissione o gli Stati membri. Noi, membri del Parlamento europeo, dovremo dire fin dall’inizio che se i cittadini europei chiedono cose che implicano una revisione dei trattati, non ci saranno tabù. Noi saremo lì per seguire e tradurre le richieste dei vostri cittadini in leggi e trattati. […]
[…] Mettendo in moto questo processo, per quanto imperfetto possa essere, non cominciamo già a rompere il tabù della modifica dei trattati, come sostiene per esempio Alberto Alemanno?
È un limite che ammette anche lei, Sandro Gozi?
Il vero rischio è lo status quo, lo stallo. L’Europa ha rischiato di essere uccisa diverse volte: durante la crisi finanziaria, la crisi migratoria e l’inizio della crisi sanitaria. La spirale della tecnocrazia e dell’inerzia è mortale, e questa conferenza vuole far muovere le cose. Dobbiamo approfittarne per rompere i codici.
Certo, è una scommessa: e una scommessa non si vince mai in anticipo. In questo caso può essere vinta se riusciamo a raggiungere chiare maggioranze popolari e democratiche intorno ad alcune questioni fondamentali: la lotta contro la disuguaglianza, la tassazione e la tecnologia digitale. È chiaro che assisteremo a un tiro alla fune e a una battaglia politica tra i riformatori – e spero che, tra i riformatori, possiamo contare su parlamentari europei e nazionali e su una maggioranza di cittadini – e i conservatori.
La lettera a cui Manon ha fatto riferimento, la lettera dei 12 paesi, rappresenta il partito dello status quo.
È vero che nel Consiglio ci sono tre gruppi di paesi. Un gruppo di paesi era contrario a questa conferenza, e ha avuto il coraggio di dirlo; un secondo gruppo di paesi sperava che la conferenza non iniziasse e che, se l’avesse fatto, sarebbe stato un semplice esercizio di comunicazione politica. Questi due gruppi sono dalla parte dello status quo. Infine, c’è un terzo gruppo di paesi, guidato dalla Francia, che vuole sfruttare pienamente il potenziale della conferenza.
Quando è stato proposto da Emmanuel Macron nella sua lettera rinascimentale del 4 marzo 2019, è stata la prima volta che un capo di stato di un paese non si è rivolto ai suoi omologhi del Consiglio europeo, ma direttamente a tutti i cittadini europei. Era già una volontà di uscire dai canali ordinari per riformare l’Europa.
La mia opinione non è solo ottimismo, ma una determinazione a cogliere pienamente l’opportunità che ci sta davanti. È chiaro che sappiamo che si tratta di un esercizio di compromesso, perché sono tre le istituzioni che hanno dovuto accordarsi: i 27 governi, la Commissione e il Parlamento europeo.
Se avessi dovuto progettare il governo della Conferenza, l’avrei fatto ovviamente in modo diverso. Avremmo preso l’impegno che sarebbe stato un parlamentare europeo a presiedere la conferenza, per esempio. Ma tutto questo è secondario rispetto alla battaglia politica che dobbiamo condurre, e credo che questa battaglia politica vada oltre le tradizionali divisioni tra gruppi politici all’interno del Parlamento.
Dal punto di vista del metodo e dell’approccio, non c’è molto che mi allontani da ciò che Manon Aubry ha appena detto. Mi sembra che i parlamentari europei abbiano la responsabilità, il dovere, di svolgere questo ruolo pionieristico affinché questo esercizio faccia davvero la differenza.
Abbiamo un’opportunità unica di dimostrare che l’Europa può essere riformata in modo diverso. Se avremo successo, non si potrà più tornare indietro! […]
[…] Sandro Gozi, condivide questo approccio a più velocità?
Prima di tutto, penso che l’approccio di questa conferenza debba essere eminentemente transnazionale. Quello che serve è vederci come cittadini europei. Dobbiamo andare al dibattito con diverse visioni, diverse aspettative, diverse idee sul futuro dell’Europa, ma concependoci fin dall’inizio come cittadini di uno spazio, di una comunità politica che è la nostra Europa, l’Unione Europea.
Questa conferenza può sicuramente dare un nuovo impulso a questo approccio transnazionale, che io chiedo e che sto anche cercando di portare avanti. Come italiano in Francia, credo che sia davvero importante, soprattutto per i giovani: un terzo dei cittadini coinvolti nella conferenza sono giovani tra i 16 e i 25 anni. Credo che un approccio transnazionale, un approccio che considera l’Europa come una Res publica parli molto a questa nuova generazione. Dobbiamo assolutamente sfruttare la presenza dei giovani in questo esercizio.
Spero che, per esempio, al di là della conferenza formale, potremo organizzare dei dibattiti difendendo la partecipazione di conferenze, regione per regione in Europa, città per città in Francia, che sarebbe un’occasione per dare più forza a questo esercizio cittadino.
Naturalmente, l’ultima fase della conferenza si svolgerà sotto la presidenza francese dell’Unione. È un problema? No. Era previsto? No. È un’enorme opportunità? Sì, perché è stato Emmanuel Macron che ha voluto per primo questa conferenza.
Il fatto che si concluda sotto la presidenza francese dell’Unione europea significa che questo esercizio si concluderà sotto la presidenza dello Stato che ha lottato di più per la realizzazione di questa conferenza. E immagino che l’Italia di Mario Draghi e la Spagna di Pedro Sanchez andranno nella stessa direzione.
Per quanto riguarda i gruppi di stati, andrei anche oltre. Ci deve essere un’avanguardia di popoli e paesi, e intendo popoli e paesi. Dobbiamo evitare a tutti i costi che, alla fine di questo esercizio, ci sia un veto o un blocco nella dinamica intergovernativa del Consiglio in materia di riforme. Se necessario, un gruppo che è d’accordo su alcuni punti chiave dovrebbe essere in grado di andare avanti e svolgere un ruolo pionieristico, come è successo a volte nella storia dell’Unione europea.
In passato, abbiamo sacrificato importanti azioni europee sull’altare dell’unanimità, perché c’era un polacco o un ungherese a porre il veto. Questa era la dottrina di Tusk e della Merkel. Abbiamo perso troppo rimanendo su questa posizione!
Quello che conta oggi è prendere decisioni importanti, dare risposte concrete ai cittadini. Se, nella prima fase, questo deve essere fatto da un piccolo gruppo di paesi, allora così sia. Gli altri seguiranno comunque, e se non seguono, è una loro scelta democratica. Possono essere liberi di scegliere lo status quo, ma non possiamo lasciare che altri paesi ci impediscano di andare avanti. Dobbiamo essere liberi con paesi che la pensano allo stesso modo e che vogliono andare avanti. […]